lunedì 30 giugno 2014

Sicilia, art&food.

Un lavoro di Ignazio Moncada.
I primi di maggio mi scrive Carmela, ufficio stampa di Catania, informandomi di una mostra che inaugura di lì a poco ad Agrigento, chiedendomi se volessi trattarne sul giornale. In partenza per Milano, le passo velocemente il mio indirizzo e-mail per ricevere cartella stampa, ma non ricevo nulla. Dopo qualche giorno le riscrivo e lei mi chiama direttamente per invitarmi in Sicilia: erano anni che mi ripromettevo di andare nell'isola, e non ci riuscivo mai, forse era la volta buona!
La coincidenza è che Carmela l'avevo conosciuta solo virtualmente, un anno e mezzo fa circa, complice la testata per cui scrivo, ma anche perché lei aveva letto sul mio profilo Facebook che ero di questo angolo di Puglia, dove casualmente tempo addietro lei era stata in vacanza a trovare degli amici, che vivevano esattamente a San Vito dei Normanni. Cose che capitano sui social, ti ritrovi a fare due chiacchiere e poi succede che ti incontri per davvero nei luoghi e secondo modalità che nemmeno ti aspetti.
Morale della favola, parto per Palermo il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, me ne accorgo solo una volta atterrata, mentre passo sul luogo preciso dell'attentato quasi nella stessa ora: brivido...
Il programma era serratissimo: arrivo a Palermo, cena con Carmela e Giusy, simpaticissima collega siciliana, al mattino conferenza stampa della mostra, trasferimento ad Agrigento, inaugurazione mostra, aperitivo "rinforzato" (preludio di bontà) e al mattino dopo rientro a Palermo per ripartire.
Però non potevo non metterci del mio: all'arrivo, morta di fame e stremata dall'aria condizionata degli aerei, faccio comunque un giro in centro, dal Politeama verso il Teatro Massimo e i Quattro Cantoni e scopro un pezzo di città veramente multietnica, dove si mescolano facce, razze, cibi e suoni. 

Il Politeama.
Teatro Massimo
Via Bara all'Olivella
E capisco subito che quel che si dice della Sicilia è vero: per fame decido di affrontare l'emblema dello street food siciliano, un arancino, ma si rivela immediatamente una bomba calorica di primo livello che praticamente sostituisce un intero pasto, alla modica cifra di un euro e cinquanta!

L'incredibile arancino.
Tempo di farmene una ragione e arriva Carmela: abbiamo appuntamento alle 21 con Giusy alla trattoria Ferro di Cavallo, luogo di ritrovo di turisti stranieri ed artisti. Il posto giusto per immergersi nel grande stomaco della città: tutto quel che c'è ha pro-porzioni esagerate, dagli antipasti rigorosamente fritti, ai primi (melanzane e pescespada per me, con l'immancabile menta) che basterebbero a soddisfare almeno due persone, fino ai dolci, la cassatina trapanese, che altro non è se non un panzerotto, ovviamente fritto, ripieno di cassata...! Però mi sono ripromessa di assaggiare tutto, essendo peraltro cose di mio estremo gradimento, quindi "mi sacrifico". 

Pasta melanzane e pesce spada.
La cassatina trapanese.
Nonostante la pioggerellina leggera (chi l'ha detto che a Palermo non piove mai?) ci inoltriamo sotto la guida dell'esperta Giusy nella versione nottura del mercato della Vucciria: alla sera chiudono le saracinesche dei negozi ed aprono le porte dei locali notturni. Una folla di giovani si accalca per le stradine e immancabile è lo street food di ogni sorta e genere.

La Vucciria by night.
Riemergiamo da questa full immersion notturna e crolliamo a letto: al mattino ho un importante appuntamento con una delle mie più grandi passioni, l'arte bizantina. 
Non potevo permettermi di andar via da Palermo, infatti, senza essere stata alla Cappella Palatina: di buon'ora quindi mi butto giù dal letto e mi avvio, insieme a orde di turisti francesi già attivi all'alba a Palazzo dei Normanni, peraltro sede del consiglio regionale siciliano (mi chiedo se apprezzano l'enorme privilegio di lavorare in una sede così prestigiosa). L'emozione mi fa sopportare stoicamente la fila e quando arrivo all'interno non posso fare a meno di versare qualche lacrimuccia: soffro di un amore sviscerato per tutto ciò che è bizantino e in quel rifluire di mosaici dorati mi sono sentita troppo a casa. 
Cappella Palatina.
Mi accorgo che mi sono svegliata talmente presto da essere in anticipo clamoroso anche per la conferenza stampa, ma mi reco comunque a Palazzo Branciforte, sede della Fondazione Sicilia, dove l'evento avrà luogo e dove dovrei intervistare il presidente. Il palazzo è una meraviglia del restauro contemporaneo, essendo stata l'ultimo lavoro di Gae Aulenti prima della sua scomparsa: nella sala conferenze un emozionatissimo Ruggero Moncada, figlio di Ignazio, autore tra l'altro del dipinto che anima la biblioteca del palazzo, ci immerge nella vita e nell'opera dello scomparso padre.
Conferenza stampa della mostra di Moncada.
Dopo di che è il momento della visita al palazzo, con le sue collezioni archeologiche (allestimento curato dal prof. Giuliano Volpe, pugliese, piccola nota campanilistica), le collezioni numismatiche, l'incredibile libreria e una chicca fuori dal tempo e dallo spazio, il vecchio monte dei pegni, luogo incantevole e impensabile. 
La collezione archetologica di Palazzo Branciforte.
Il banco dei pegni.
la biblioteca con il dipinto di Moncada.
Veniamo fuori da lì che è ora di pranzo, ma siamo costrette per scarsità di tempo a declinare l'invito di Moncada a Palazzo Butera (che rammarico!) e strada facendo rifacciamo un'incursione nello street food, con un "semplice" panino con le panelle, sfiziose frittelle di farina di ceci. Vabbè, che ve lo dico a fare, c'erano almeno dieci panelle rinchiuse tra due fette di pane: se vi capita non perdetelo, ma soprattutto fatevi togliere la mollica dal panino, altrimenti potreste scoppiare! 

Pane e panelle.
Il nostro vettore per Agrigento è Francesco, mitico titolare della più frizzante galleria d'arte palermitana, Pantaleone: ci conduce attraverso l'entroterra dell'isola, con la sua chiacchiera interessante e non ci facciamo mancare nemmeno una pausa calorica, con cannolo siciliano in area di servizio (sì, anche in un luogo di passaggio riescono ad avere dolci di qualità). Io e Giovanna, altra collega approdata appositamente per l'evento, abbiamo un piano in comune: anche ad Agrigento c'è qualcosa che dobbiamo assolutamente vedere, prima di andar via, ed è la Valle dei Templi, a due passi dall'hotel dove soggiorniamo, peraltro. Arrivate tardissimo a destinazione, siamo costrette a ripiegare sul piano b, spostando la visita al mattino successivo: altra levataccia in arrivo...
In effetti l'inaugurazione della retrospettiva dedicata a Ignazio Moncada alle FAM, si prolunga fino a notte fonda, in un'atmosfera rilassata e conciliante, per cui tra una cosa e l'altra, siamo di nuovo stramazzanti a letto anche la seconda sera.

Un dipinto di Ignazio Moncada in mostra alle FAM.
Morale della favola: sveglia all'alba e scarpinata fino alla meraviglia delle meraviglie. Passando prima per la mostra allestita da Giusy in un giardino che fa parte della valle, giungiamo ai sommi capolavori, il tempo della Concordia e quello di Giunone. Chissà quante vite precedenti devo aver avuto, perché, come previsto, mi sento a casa mia anche lassù, sulla cima delle colline che danno verso il mare. 

Il Tempio della Concordia.
Il tempio di Giunone.
Il mio tempo ad Agrigento è scaduto: rientro in hotel, agguanto il mio trolley e salgo nell'auto che  è stata gentilmente predisposta dall'infaticabile notaio Pusateri, presidente delle FAM, per il trasferimento all'aeroporto di Punta Raisi. L'altro lato dell'isola mi scorre davanti con i suoi scorci di mare ed arrivo in aeroporto con la sensazione di voler già tornare in questo paradiso, magari per scoprirne anche le isole minori. 
Nel frattempo porto a casa un po' di cannoli, già che ci sono, per non correre il rischio di perdere l'abitudine ad esplorare usi e costumi, soprattutto grastronomici, dei luoghi che visito. 
God bless Sicily!